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UNA SINAGOGA IN CAMPAGNA
(A SYNAGOGUE IN THE HILLS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 marzo 2001
 
di Franz Rickenbach (Svizzera, 1999)
 
Occorrono dieci fedeli di sesso maschile per celebrare il culto della tradizione. Cosi, quando all'interno della piccola comunità ebraica di Delémont, formatasi in seguito alle immigrazioni dall'Alsazia a partire dalla metà dell'800 non rimangono più che femmine, per la sinagoga in periferia giunge il momento di chiudere i battenti. Franz Rickenbach (premio Fipresci a Locarno nel 1982 con KLASSENGEFLUSTER) non è ebreo, ma protestante. Ed e forse anche per questo che il suo UNA SINAGOGA IN CAMPAGNA non ha nulla di nostalgico, tanto meno di passatista. Il suo è piuttosto uno sguardo curioso, a tratti addirittura divertito, sempre sensibile nell'intimo di un piccolo gruppo di persone, poche famiglie raccontate sull'arco di diverse generazioni. Che hanno voluto non soltanto conservare dei riti: ma saputo affidarsi a dei legami spirituali, a delle relazioni umane, al trapasso di una cultura, in un periodo storico tragico (nel film si accenna soltanto all'Olocausto), sovversivo, di comunque convulsa trasformazione come il nostro.

DI ciascuno dei sette sopravvissuti nella comunità (in gran parte aggregata alla sapida corporazione dei mercanti di bestiame giurassiana, che la cinepresa indaga con vivacità) viene tracciato successivamente un ritratto. Ma Rickenbach non si adagia sul rito scontato dell'intervista: frantuma l'iconografia quotidiana, del passato e di come si è trasformato nel presente, ricorre alle fotografie d'epoca ed ai filmini amatoriali, gioca abilmente con i suoni (lo scricchiolio dell'altalena sulla quale si dondolavano i bimbi), con le splendide melodie della tradizione yiddish. Dal rigore minuzioso di questa sua decomposizione non se ne ricava un sentimento di schematismo, di freddo procedimento. Piuttosto di rispetto, di delicatezza e di pudore. Quasi di invidia: nei confronti di una qualità di vita che, nella suo equilibrio tranquillo sembra trascendere i traumi sociali, morali, economici che si accompagnano a quella periferia esistenziale.

L'ammirazione del regista per quella cultura, l'affetto per quelle psicologie, l'attenzione per quel piccolo mondo si trasformano allora nello spettatore in qualcosa di prezioso e sempre più raro. Il rispetto nei confronti di una minoranza che si fa rispetto, irrinunciabile, per sé stesso.


   Il film in Internet (Google)

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